Dicembre 1, 2022 - di Claudia Caldara
Il Growth Hacking è una mentalità, un vero e proprio mindset con cui un Product Manager dovrebbe affrontare i problemi.
Un “Product Growth Hacker” è capace di muoversi nell’intersezione tra marketing, prodotto e dati.
Come?
Trovando una strategia costruita sui parametri di un metodo di crescita scalabile e ripetibile, guidato dal prodotto e ispirato dai dati.
Di cosa ci occuperemo in questo articolo:
Il termine Growth Hacker è stato coniato nel 2010 dall’imprenditore Sean Ellis.
Sean Ellis, come vedremo dopo, è considerato il fondatore del worldwide Growth Hacking movement, e ha applicato e sviluppato il Growth Hacking in aziende come Dropbox, Eventbrite, LogMeIn, e Lookout, che ha portato a livelli di crescita pazzeschi (tutte aziende che oggi valgono miliardi di dollari).
Secondo Ellis, un Growth Hacker è una persona il cui vero “Nord” è la crescita. Tutto ciò che fa, viene valutato dal suo potenziale impatto sulla crescita scalabile.
Chi ha reso però popolare il termine, è stato un post successivamente scritto da Andrew Chen, sul suo blog, intitolato “Growth Hacker is the New VP Marketing“, dove Chen spiega come le strategie di crescita di Airbnb sono un’implementazione di grande successo del Growth Hacking.
Andrew Chen, australiano, classe 1984, è conosciuto nel mondo tech statunitense come autore nonché investitore di svariate tech start-up. Secondo lui, “i Growth Hacker sono un ibrido tra un Marketer e un Developer, uno che guarda alla tradizionale domanda ‘Come posso ottenere clienti per il mio prodotto?’, e risponde con A/B test, landing page, marketing virale, email marketing e il protocollo Open Graph“.
Nel 2013, Sean Ellis fondò Growth Hackers, la prima comunità di growth hacker con il fine di condividere nel gruppo articoli, studi sul GH e test effettuati su questo nuovo approccio.
Sempre nel 2013 si svolse a San Francisco la seconda Growth Hackers Conference in cui i dipendenti di Twitter, Youtube, Linkedin e altre importanti aziende condivisero le loro conoscenze e tecniche di hacking della crescita.
Oggi le definizioni di Growth Hacking sono davvero molteplici e tutte in realtà corrette.
Resta – innegabilmente – un alone di indefinito e vago, forse dovuto all’abuso che si è fatto del concetto, anche in modo non propriamente fedele alla sua natura originaria.
Mark Fiske, esperto di GH, definisce il Growth Marketing come “un insieme di processi finalizzati alla comprensione del proprio cliente e che quindi porta alla crescita sostenibile e ripetibile del business“.
“Growth marketing is the set of practices, rituals, and processes rooted in experimentation and understanding of the customer that ultimately results in sustainable, repeatable, growth for an organization”.
Mark Fiske
Il growth hacking nasce a seguito di un “need” (termine che noi PM conosciamo molto bene), ovvero di un bisogno che era inizialmente delle start-up: mettere a punto un metodo incentrato sulla crescita rapida del business con budget ridotti, che – nel tempo – si è rivelato presto un fenomeno.
Oggi il growth hacking si applica a ogni tipologia di azienda e di settore.
Vediamo due casi interessanti.
Airbnb, dopo aver testato i risultati di una strategia tradizionale, ha utilizzato il modello growth hacking per espandere la propria base di utenti e raggiungerla in modo diretto.
Dove poteva trovare possibili nuovi utenti target? Su Craigslist!
Come? In due fasi,
FASE 1
La partenza fu molto umile. Per la serie “Do Things That Don’t Scale” tanto per citare Paul Graham.
Invece d’investire in paid ads, o campagne social media, iniziarono in modo completamente manuale.
Cominciarono intercettando tutti gli annunci che venivano postati su Craiglist nella loro zona. A quel punto inviavano una mail direttamente al proprietario della casa chiedendo se volesse postare lo stesso annuncio anche su Airbnb.
L’investimento fu davvero ridicolo, e funzionò!
FASE 2
Sfruttarono un bug del sito di Craigslist.
Dopo aver esaminato a fondo le parti di codice che potevano essere visionate, riuscirono a inserire all’interno di Craigslist un doppio post, che dal sito mandasse ad Airbnb, avendo così un link in entrata e uno in uscita.
Erano riusciti infatti a fare anche in modo che chi pubblicasse un annuncio su Craigslist, lo pubblicasse automaticamente anche su Airbnb.
Il design accattivante di Airbnb persuase l’utente. Una volta capitati “per caso” quindi sul sito, stimolati spesso da una grafica più coinvolgente rispetto allo scarno Craigslist, gli utenti continuavano la loro ricerca sul nuovo sito.
(Vi segnalo laddove voleste approfondire ulteriormente la storia di Airbnb, di leggere questo articolo di Tam Al-Saad, La Growth Strategy di Airbnb e quello di Chen, che entra nel super dettaglio).
Un altro caso è YouTube.
Il metodo growth hacking divenne necessario a risolvere un annoso problema: non esisteva un modo intuitivo per gli utenti di caricare i contenuti sul loro sito web.
Doveva essere dato loro modo di caricare e incorporare video ovunque volessero.
Gli utenti hanno iniziato rapidamente a utilizzare la piattaforma per ospitare video che hanno poi condiviso su altri siti web. Naturalmente, ciascuno di questi video includeva un collegamento alla propria piattaforma. È così che è iniziato a diventare virale il loro modello di business.
Su YouTube chiunque può caricare i propri video senza doversi preoccupare di complicate formattazioni o limitare il caricamento a un periodo di tempo che gli utenti devono pagare. Oltre a essere disponibile gratuitamente sulla maggior parte dei dispositivi, il potenziale di traffico è infinito.
Quando YouTube è stato lanciato, era diverso da qualsiasi cosa fosse mai stata creata: visualizzare e caricare video affinché l’intera rete Internet potesse vederli. Gratuitamente.
Hanno dato a un pubblico di milioni di persone un motivo per iscriversi. YouTube ha a oggi più di 1 miliardo di utenti attivi mensilmente e oltre 20 milioni di aziende in tutto il mondo che utilizzano la loro piattaforma per tutto, dal marketing al servizio clienti.
“A successful growth marketer needs to collect and strategically share acquisition insights across the business to help guide product development, brand positioning, and even customer experience”.
Kevin Bechtel
Il connubio fra creatività e misurazioni puntuali nell’ottica di test & learn continuo, permette di validare canali e attività, per una strategia di marketing davvero efficace e orientata a un unico obiettivo: la crescita.
Le tre macro-aree su cui il GH agisce sono:
Il concetto nuovo ed innovativo che il Growth Hackhing ha iniziato dieci anni fa, è l’inutilità nel perseverare in attività ad alto effort e time-consuming senza che abbiano reale valore per l’azienda.
Non aver quindi timore di tagliare quel canale social inattivo o di smettere di organizzare quei seminari a cui non partecipa mai nessuno.
È fondamentale che ogni azienda comprenda perché sta crescendo, in quali aree e grazie a quali attività. Solo così potrà poi settare tutti quei processi per ‘farlo accadere di proposito’, potenziando e replicando ciò che funziona, o spegnendo e azzerando il budget allocato su ciò che non porta un ritorno diretto, chiaro e misurabile.
Sono cinque i pilastri di cui tenere conto:
Capire e definire quali sono gli obiettivi è il primo passo per raggiungerli. Questo permette di raccogliere una serie d’informazioni che determinano quali aree hanno margini di miglioramento e come possono essere convertite in un nuovo obiettivo.
Il punto di partenza è la promozione del proprio brand, prodotto o servizio, per raccogliere dati sugli utenti, su come lo vivono e su quali feedback, da parte degli stessi, emergono.
Si agisce poi per step successivi, dal marketing di prodotto all’advertising, ottimizzando prima il prodotto stesso sulla base di cosa gli utenti hanno dichiarato nei survey, e poi le campagne e le attività di go-to-market, in modo che siano sempre più efficaci.
Bisogna puntare sulla velocità di esecuzione piuttosto che sulla perfezione. Non è infatti possibile anticipare con certezza cosa avrà o non avrà impatto sulla crescita della propria azienda.
L’MVP (Minimum Viable Product), nonostante sia imperfetto, rimane il miglior modo per misurare i risultati e riposizionare il tiro in modo empirico, che si tratti della messa online di una campagna, del go-live di un sito, della partecipazione a uno speech.
Meglio dunque procedere per MVP invece di rimanere immobili e bloccare la delivery di un qualsivoglia progetto, nell’attesa che sia perfetto.
La chiave di svolta è avere un approccio mentale aperto che considera anche problemi alternativi, individuando quelli più reali, invece di “bloccarsi” con ciò che aprioristicamente riteniamo potrebbe essere una criticità per i nostri potenziali utenti.
Questo porta ovviamente alla valutazione di soluzioni alternative, a nuove prospettive, a nuovi target e a un nuovo passo nella crescita.
Il modus operandi ormai sorpassato fatto di piani marketing (seguendo le opinioni e i gusti personali dell’Head o del team) lascia spazio al testing in piccolo per monitorare andamento e ritorni, così da allocare importi più alti solo su ciò che ha funzionato.
La bussola per un Product Manager e un Growth Hacker è conoscere costantemente e aggiornarsi sulle nuove opportunità digitali e tech da integrare nel giusto processo. Il tutto in un’ottica di ottimizzazione, risparmio di tempo e fatica, migliore visione del quadro generale di progetto e della reportistica.
È stato definito da più parti l’evoluzione della figura del PM, un “Product Manager 2.0” cit.
I PM lavorano nella multidisciplinarietà, è una loro caratteristica peculiare. Una vera e propria dote a mio parere fondamentale.
Anche se il marketing non è il loro ruolo principale, la crescita è invece parte integrante dello sviluppo del prodotto e della strategia di mercato.
Quello che accresce le competenze del PM (e che vuole fare suoi i principi del growth hacking) è smettere di concentrarsi solo sulla creazione delle migliori esperienze di prodotto per gli utenti, ma focalizzarsi sul come raggiungere gli stessi utenti.
Ma di questo ha già ampiamente parlato Simone Congiu nel suo interessantissimo post di cui vi lascio il link: Growth Product Manager: cosa fa e chi è.
“Although growth hacking is relatively new within the context of marketing, it has made a huge impact on how companies approach business. With proven success, it has become an entrusted tool for maximizing results while simultaneously keeping costs down.”
Michael Witte, Growth Scientist
Il Growth Hacking e le strategie che abbiamo velocemente visto insieme sono frutto di tentativi, test e iterazioni di un metodo guidato dal continuo apprendimento.
L’approccio vincente, in molti casi (ma non sempre), è quello non convenzionale, dove si prova a risolvere il problema, stando su un piano logico diverso e all’interno di un sistema in continua evoluzione, dove per vincere si ha appunto bisogno di un Growth Mindset.
E tu? Hai mai provato qualche strategia di Growth Hacking per il tuo prodotto che ha generato un impatto importante? Raccontaci dei tuoi test e dei tentativi che ti hanno man mano portato sulla strada giusta 🙂
E se l’articolo ti è piaciuto e vuoi rimanere aggiornato sui prossimi contenuti, iscriviti alla nostra Newsletter 📩
Ha lavorato per 10 anni in ambito e-commerce ricoprendo ruoli di e-comm Merchandiser e di Project Manager. Appassionata di coding e di Intelligenza artificiale, si è innamorata del Product Management anche grazie al Master in Product Management conseguito con Edgemony. In costante formazione, lavora come Product Manager per una realtà pugliese. Da poco iscritta ad Ingegneria Informatica ,come seconda laurea, una delle cose in cui crede è: “Un pianeta migliore è un sogno che inizia a realizzarsi quando ognuno di noi decide di migliorare se stesso”.
Le slide sono disponibili per studenti ed ex studenti del Master in Product Management
One reply on “Growth Hacking e Product Management: l’evoluzione di un legame”
Gabriele
Ottimi spunti
Bravi
💯